"È arrivato per me il momento di prendere atto che non ci sono più le condizioni per andare avanti nel Pd e insieme a tanti e tante che hanno maturato per vie autonome la mia stessa riflessione proveremo a costruire altri percorsi non per fare una testimonianza minoritaria ma per fare una sinistra di governo ma su una agenda alternativa". Stefano Fassina dice addio al Pd e lo fa durante un'iniziativa di quello che è ormai il suo ex partito a Capannelle, a Roma.
Una decisione che era nell'aria e che da tempo veniva ventilata visto il sempre difficile rapporto che l'ex viceministro ha con il premier-segretario Matteo Renzi, a partire dal "Fassina chi?" del presidente del consiglio datato gennaio 2014.
"La scelta del governo di porre il voto di fiducia sul disegno di Legge sulla scuola è uno schiaffo al Parlamento e all'universo della scuola che in questi mesi si è mobilitato per un intervento innovativo e di riqualificazione della scuola pubblica", aveva commentato duro solo poche ore prima dell'addio il parlamentare della minoranza Pd.
"Il testo del maxi emendamento predisposto dal governo - aveva sottolineato - si limita a qualche ritocco cosmetico senza dare le risposte necessarie al fine di cancellare la chiamata dei docenti da parte dei presidi, di introdurre un piano pluriennale di assunzione degli insegnanti precari, di rivedere l'iniquo finanziamento alle scuole private e, infine, di ridefinire le norme di delega. Il Pd mette la fiducia su un testo che contraddice profondamente il programma sul quale siamo stati eletti. Un testo ispirato nel suo principio guida alla riforma Aprea, sottosegretaria del governo Berlusconi. È inaccettabile il ricatto sulle stabilizzazioni. No al voto di fiducia".