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Sardegna expo, qualità della vita e vini sardi, se ne è parlato nell’ultima giornata dedicata all’isola nell’esposizione milanese

Milano, 17 Set 2015 – Nelle tavole dei sardi il vino non è mai mancato e rientra senz’altro tra i prodotti tipici della dieta dei centenari. Dal periodo nuragico, il cui studio ha permesso di scoprire che il vino in Sardegna non sarebbe arrivato in età fenicia o punica, a Instagram, il social network che racconta per immagini l’Isola a tavola nella sua versione più evoluta e attuale, la viticoltura e l’enologia hanno lasciato traccia della loro incisiva presenza lungo 3mila anni di storia. Ricerca, tradizione, identità, legame col territorio, socialità: il vino della Sardegna scommette sulla sua specificità, puntando con grande determinazione nell’innovazione per affermarsi a livello mondiale come attrazione di nuovi flussi turistici e di nuovi mercati in cui radicarsi.

Quello che scienza e marketing concordano nel definire come “elisir di lunga vita” è stato il protagonista di “Cibi per la salute dalla terra dei centenari”, il secondo dei tre eventi che la Regione dedica alle produzioni agricole di qualità, fattore di benessere e longevità. Nella sala conferenze del padiglione CibusèItalia di Expo, il vino è stato al centro di un affollato dibattito, che ha fatto registrare la presenza di esperti, curiosi e addetti ai lavori nei confronti di un progetto di comunicazione e promozione rivolto ai mercati alimentari internazionali e all’industria turistica.

Il vino che narra la Sardegna. “Abbiamo voluto inaugurare le giornate della Sardegna a Expo con i pecorini, prodotto che rappresenta una parte consistente dell'export isolano, e non potevamo non dedicare la chiusura ai vini che, con il cannonau e il vermentino, hanno conquistato mercati importanti negli ultimi anni”. Così l’assessore dell’Agricoltura, Elisabetta Falchi, intervenendo al talk show moderato dalla giornalista Eleonora Cozzella, coordinatrice del sito “Food&Wine” e ispettrice della “Guida ai ristoranti d’Italia” per il gruppo “L’Espresso”. “Nella straordinaria vetrina dell'Esposizione universale, in coerenza con i progetti di internazionalizzazione della Regione, - ha osservato l’esponente della Giunta Pigliaru – continuiamo a presentare al mondo una Sardegna innovativa, soprattutto quando si parla di riuso e sostenibilità, attraverso il racconto delle eccellenze agroalimentari isolane. In questa occasione abbiamo dimostrato che il vino sardo è un prodotto di grande qualità, che aiuta a stare bene e contribuisce alla longevità. A questo aggiungiamo la bellezza del territorio regionale: unico e straordinario. Colori, profumi e sapori delle nostre colline e pianure – ha proseguito l’assessore dell’Agricoltura – vengono narrati dalla Gallura al Campidano con le numerose varietà colturali che caratterizzano le produzioni isolane. I vini sardi pertanto, attraverso l'elemento aggregativo tra le cantine e le imprese, potranno essere in grado di affrontare i mercati globali per essere così importanti promoter della Sardegna, Isola senza fine”.

Dicono gli esperti. “Viviamo in un’isola felice, dove l’inquinamento ambientale è scarso e si mangia sano, nei secoli questo ha inciso sulla qualità della vita dei sardi”, assicura Gianluigi Bacchetta, professore associato di Botanica ambientale e applicata dell’Università di Cagliari, archeo botanico, responsabile del Centro di conservazione delle biodiversità, leader di una equipe scientifica a cui si deve il rinvenimento di semi di vite di epoca nuragica nel villaggio di “Sa Osa”, nell’Oristanese. “Vite, fico, olivo, pinoli, noci e melone, per esempio, finora sono stati attribuiti per comodità alle importazioni di età fenicio-punica e romana – ha spiegato Bacchetta – ma le scoperte hanno rivelato che la civiltà nuragica possedeva un’agricoltura già molto evoluta”.

Preservare una simile tradizione, che affonda le proprie radici nei millenni e che appartiene all’identità della Sardegna e del suo popolo, richiede una costante evoluzione dei metodi di produzione e conservazione, in armonia col territorio e secondo processi orientati alla sostenibilità. Ne è certo Donato Lanati, enologo e membro dell’Oiv (Organizzazione internazionale della vite e del vino), grande sostenitore della formazione di chi opera in vigna e in cantina come metodo più efficace per vestire i vini di forte identità territoriale e varietale. “Il vino italiano è conosciuto in tutto il mondo, abbiamo oltre 400 varietà tipiche, la diversità è la carta che dobbiamo giocare”. Ha osservato Lanati, che ha aggiunto: “La qualità è misurabile oggettivamente, e dipende in gran parte dalla capacità dei vitigni autoctoni di mantenere la personalità dei territori da cui provengono”. E da questo punto di vista, «le cantine sociali possono fare la differenza perché producono una massa critica vastissima”.

“Tra i fattori che aiutano a vivere bene oltre i cento anni c’è la genetica, ma anche la nutrizione ha un grande valore dal punto di vista biochimico e clinico», ha assicurato Luca Deiana, già docente di Medicina all’Università di Sassari, fondatore del progetto “AKeA – A Kent’Annos”, impegnato da vent’anni nella scoperta del gene della longevità. “I vini sardi sono buoni anche sul piano biologico”, ha detto Deiana. “Le ricerche condotte hanno confermato quello che i nostri centenari sanno per esperienza diretta – ha precisato l’esperto – perché i risultati dei nostri esperimenti ci dicono che bere due bicchieri di vino a pasto fa bene, ed è la quantità che consumano i testimonial della longevità in Sardegna”.

Il legame con il territorio. Ma il vino è anche elemento di socialità, veicolo di promozione e strumento di comunicazione. Secondo Giuseppe Carrus, un sardo che gira il mondo alla scoperta di vini, cantine, birre, distillati e cocktails d’autore, da anni in forza nella redazione del Gambero Rosso, vicecuratore della guida Vini d’Italia: “Il vino in Sardegna è sempre stato simbolo di ospitalità e di legame con i territori, ha sempre cercato di trasmettere qualcosa, non solo le caratteristiche del sottosuolo ma anche di tutto quello che c’è sopra, sul piano ambientale, sociale e culturale. Se qualcuno mi chiede quale sia il grande vino, la risposta è semplice – ha concluso Carrus – è quello capace di raccontare il proprio territorio”.

Il vino social. È quello che fa Instagram Sardegna, tra le cui rubriche c’è anche quella dedicata al racconto dell’Isola attraverso la sua tradizione culinaria. “Finora il vino è stato meno presente rispetto ai piatti, ma alcune aziende stanno facendo un ottimo lavoro su Instagram e stanno iniziando a capire l’importanza di comunicare, di raccontare tutto, dalla maturazione dell’uva alla lavorazione, attraverso la tradizione e l’innovazione”, ha detto Alessandra Polo, tra i fondatori di Instagramers Italia, a capo del social media team di Igersitalia e fondatrice delle community di Instagramers della Sardegna.

“Il vino sardo è stato presentato così, a 360 gradi, nella giornata di chiusura della Sardegna a Expo2015, con le sue sfaccettature scientifiche e storiche, tradizionali e commerciali, social e di vita vissuta. Un modo nuovo di comunicare e promuovere i nostri territori per far conoscere al mondo l’Isola senza fine, della qualità della vita e del cibo sano”, ha concluso l’assessore dell’Agricoltura, Elisabetta Falchi. Red