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Quasi 150 affermazioni false o fuorvianti in primi 33 giorni da Presidente: Washington Post inchioda Trump

Washington, 22 Feb 2016 - Al Presidente che si scaglia contro le Fake News e accusa i giornalisti di essere i "nemici del popolo americano" il giornalismo risponde, e lo fa con i fatti. O meglio con il fact-checking, vale a dire la puntigliosa verifica delle affermazioni del più torrenziale tra i Presidenti che l'America ricordi.

Donald Trump ha collezionato 132 dichiarazioni "di dubbia natura, fuorvianti o false" nei primi 33 giorni da presidente degli Stati Uniti: lo mette nero su bianco il Washington Post, nel suo fact-checker, la "verifica dei fatti" lanciata durante la campagna elettorale.

Il quotidiano promette costanti aggiornamenti nel corso dei primi 100 giorni alla Casa Bianca del miliardario che accusa i media di produrre fake-news contro di lui e che regolarmente mente, o quasi, rifila falsità o quasi via Twitter o nei suoi discorsi.

Secondo il Washington Post, in effetti, la tendenza al falso di Trump si scatena soprattutto via Twitter, con il 34% di dichiarazioni a dir poco incerte, spesso false. Seguono i suoi commenti in discorsi pubblici e i discorsi preparati, poi le interviste e le conferenze stampa.

"Gli argomenti più frequenti per queste affermazioni riguardano l'immigrazione, che è risultata oggetto (di false dichiarazioni di Trump) 24 volte", precisa il Post, "altri ricorrenti argomenti riguardano la sua biografia (17 affermazioni non esattamente vere) e i posti di lavoro, 17 volte. Pinocchio, e peraltro recidivo, continua l'articolo corredato di grafici: il presidente "spesso ripete le stesse affermazioni infondate anche se smentite nei fatti". E proprio perché "è difficile tenere dietro a tutta la retorica dei Trump", il Facto Checker raccoglierà tutte le "dichiarazioni sospette dei primi 100 giorni come presidente", dividendoli per categorie e precisando quante volte la stessa bugia sia stata ripetuta.

La verità è che però la maggioranza degli americani sostiene le politiche del presidente sull'immigrazione, compreso il 'Muslim ban', il bando agli ingressi da sette Paesi abitati in prevalenza da musulmani. Lo rivela un sondaggio di Harvard-Harris, pubblicato da 'The Hill', indicando come il muro al confine con il Messico, seppur di misura, sia invece stato bocciato. Il sondaggio è stato condotto tra l'11 e il 13 febbraio scorsi su un campione di 2.148 elettori registrati.

Per il muro al confine con Messico il sondaggio registra un tasso di contrarietà al 53% mentre il 47%è' favorevole. Il 77% degli intervistati sostiene la necessità di una riforma complessiva dell'immigrazione mentre il 23% è contrario. Godono di un consenso pari al 52% i due decreti presidenziali che prevedono, complessivamente, la costruzione del muro al confine meridionale degli Usa, l'incremento di 10.000 unità degli agenti di frontiera e la necessità di tagliare i finanziamenti alle città santuario che ospitano i clandestini.  La misura più popolare è la stretta sulle 'citta' santuario", che aiutano i clandestini e che devono il loro nome a quando, negli anni Ottanta, le chiese cominciarono ad accogliere i profughi che fuggivano dai conflitti nell'America centrale.  L'80% degli americani ritiene che dovrebbero essere denunciati tutti gli immigrati irregolari con i quali si viene in contatto. Piace molto anche la direttiva volta ad incrementare il numero degli agenti per blindare le frontiere contro i clandestini, con un gradimento al 75%.

Il 53% degli intervistati si è chiarato favorevole all'ordine esecutivo che sospende per 120 giorni il programma per i rifugiati in Usa (fatta eccezione per i siriani bloccati a tempo indefinito) e che vieta l'immigrazione da sette Paesi: Iraq, Iran, Siria, Yemen, Sudan, Libia e Somalia.  Il bando dai sette Paesi registra il 56% del consenso se vengono definiti a rischio terrorismo e del 60% se, nelle interviste, vengono chiamati "Paesi a maggioranza islamica". L'amministrazione Usa si appresta a varare un nuovo bando tenendo conto dei rilievi del tribunale che lo ha sospeso: dovrebbe riguardare gli stessi sette Paesi ma escludere coloro che già possiedono un visto, la Carta Verde o la doppia cittadinanza.  Il 38% ritiene che lo stop dei giudici al bando abbia reso il Paese meno sicuro, il 36% pensa che la decisione non avrà alcun impatto e il 26% la guarda con favore.

Trump intanto si prepara a smantellare l'ennesima misura voluta dal suo predecessore, quella che garantisce agli studenti di utilizzare il bagno corrispondente al genere in cui si identificano e non a quello con cui sono nati. Per Barack Obama, quello era un diritto contro le discriminazioni sessuali. Per il 45esimo presidente, la questione va decisa a livello statale e non federale. Come spiegato dal portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, "il presidente crede da tempo che questa [questione] non dovrebbe coinvolgere il governo federale essendo una questione statale".

Spicer ha poi anticipato che ulteriori guidance verranno fornite presto dal dipartimento dell'Istruzione e della Giustizia. Ribaltare il quadro attuale sarebbe un arretramento significativo per il movimento a difesa dei diritti gay, che durante il governo Obama ha fatto passi avanti enormi: dalla legalizzazione delle nozze tra persone dello stesso sesso alla partecipazione nell'esercito di omosessuali o lesbiche non più chiamati a nascondere le loro preferenze sessuali. Una decisione da parte di Trump non avrebbe un effetto immediato sulle scuole pubbliche Usa visto che un giudice federale ha sospeso la direttiva voluta da Obama lo scorso maggio. L'impatto sarebbe invece istantaneo su vari casi legali ancora aperti, a cominciare da quello che il mese prossimo verrà presentato alla Corte Suprema. Si tratta di quello riguardante Gavin Grimm, adolescente transgender della Virginia che ha fatto causa contro la sua scuola per avergli impedito di usare il bagno desiderato. Un tribunale gli ha dato ragione. In una intervista rilasciata al Washington Post lo scorso maggio, quando ancora era solo un candidato alla nomination repubblicana, Trump aveva detto che il governo dovrebbe sì proteggere i transgender, ma che lui avrebbe fatto venire meno le guidance di Obama riguardanti l'uso dei bagni nelle scuole. "Credo si tratti di qualcosa su cui dobbiamo aiutare le persone e si spera che gli Stati facciano le scelte giuste", disse.