Cagliari, 25 Mar 2024 – Finalmente. Gli usa hanno capito che il premier israeliano è un estremista nazi fascista e che vuole sterminare il popolo palestinese. Legittimo titolare del territorio. Anche quello donato al popolo israeliano quando nessuno lo voleva, alla fine dello sterminio nazista degli ebrei in Europa.
Dunque dopo mesi di stallo, il Consiglio di sicurezza ha finalmente approvato una risoluzione che chiede il cessate il fuoco a Gaza. Nel documento, che ha ottenuto 14 voti a favore e l'astensione degli Usa, si "chiede un cessate il fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile e il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell'accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie". L'adozione è stata salutata con un lungo applauso.
Prima del voto la Russia ha preso la parola per proporre un emendamento e sostituire il termine "durevole" con "permanente" nella frase in cui si chiedeva "un cessate il fuoco immediato per il mese del Ramadan, rispettato da tutte le parti, che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile". Il termine è stato sostituito all'ultimo minuto e secondo l'Ambasciatore russo Vassily Nebenzia "annacqua il testo e lascia spazio alle interpretazioni, permettendo a Israele di riprendere le operazioni militari in qualsiasi momento". La richiesta è stata bocciata ma Mosca ha comunque votato a favore della risoluzione.
Un sostegno, quello all'organizzazione palestinese, ribadito più volte negli ultimi mesi anche attraverso atti concreti e l'ospitalità garantita ai leader di Hamas in Turchia. Pochi giorni fa Erdogan aveva paragonato Netanyahu a Hitler, Mussolini e Stalin, definendo il premier israeliano "rappresentante del nazismo dei nostri giorni" e autore di crimini contro l'umanità. Scambi di accuse pesanti, cui Erdogan non ha però mai dato una connotazione religiosa, ma sempre utilizzato per attaccare il governo israeliano e Netanyahu in particolare. All'inizio del conflitto il presidente turco aveva evitato di andare allo scontro frontale.
"Affidiamo a Dio un certo Benjamin Netanyahu nella speranza che l'onnipotente possa distruggerlo e renderlo miserabile". È solo l'ultimo duro attacco sferrato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Parole di una violenza non nuova, ma che stavolta hanno scatenato la dura reazione dello Stato ebraico, al punto che lo scorso fine settimana su ordine del ministro degli Esteri, Israel Katz, il vice ministro degli Esteri turco a Tel Aviv è stato convocato per una 'dura reprimenda.
"Ho dato precise istruzioni affinché al vice ambasciatore turco sia inflitta una seria reprimenda dopo le parole rivolte da Erdogan nei confronti del nostro premier. Non c'è nessun dio che ascolta chi sostiene le atrocità di Hamas, Erdogan stia zitto e si vergogni", ha detto Katz. L'ambasciatore turco è stato richiamato in patria meno di un mese dopo l'inizio del conflitto tra Israele e Hamas. Una decisione presa in risposta a Israele, che aveva richiamato la propria rappresentanza diplomatica 'per ragioni di sicurezza. La convocazione del diplomatico turco non sembra aver sortito alcun effetto concreto né spaventato il leader turco.
Infatti, Erdogan, sia ieri che questa mattina, ha rivendicato la posizione della Turchia, "uno dei pochi Paesi a parlare apertamente contro il genocidio in corso", e ribadito che Ankara non considera Hamas un'organizzazione terroristica. In risposta alla convocazione del vice ambasciatore turco il ministero degli Esteri di Ankara aveva anche emesso un comunicato con cui dichiarava che la Turchia attende e spinge affinchè il governo israeliano venga processato per "crimini contro l'umanità". Nello stesso comunicato si ricorda che lo Stato ebraico si trova "sotto processo per genocidio" e si ribadisce l'impegno della Turchia "a parlare in tutte le sedi possibili della persecuzione del popolo palestinese".
Una scelta mirata a mantenere in vita il processo di normalizzazione che aveva caratterizzato gli ultimi due anni dei rapporti tra Turchia e Israele. Una scelta che però gli ha procurato critiche da parte dell'opinione pubblica turca, fortemente filo palestinese. Un fattore che, unito ai ripetuti attacchi nei confronti della popolazione civile, hanno spinto il presidente turco, a riprendere gli attacchi al vetriolo degli ultimi anni. L'inizio della crisi tra Israele e Turchia risale infatti al 2010, quando la nave turca Mavi Marmara tentò di forzare il blocco su Gaza e fu attaccata dalle forze speciali israeliane. Un attacco che causò la morte di 10 attivisti. Ci vollero 7 anni per un riavvicinamento che però durò poco. Nel 2018 una nuova crisi tra i due Paesi scoppiò dopo gli scontri di Gaza e la decisione dell'amministrazione americana, guidata dall'ex presidente Donald Trump, di spostare la capitale a Gerusalemme. I due Paesi hanno ripreso a parlarsi nel 2020, dando il via a due anni di riavvicinamento al termine dei quali Erdogan ha incontrato prima il presidente israeliano Isaac Herzog in Turchia a marzo 2023, poi Netanyahu a New York lo scorso settembre. L'attacco del 7 ottobre ha fatto nuovamente saltare il banco dei rapporti tra i due Paesi e gli ambasciatori nominati nel 2022 sono stati richiamati in patria dopo meno di un anno.
Prima della riunione del consiglio Onu, Benjamin Netanyahu ha detto che annullerà la missione del suo team a Washington, per discutere con le proposte americane alternative ad un'operazione a larga scala a Rafah, se gli Stati Uniti non useranno il veto per bloccare la risoluzione al Consiglio di Sicurezza in cui si chiede un cessate il fuoco non condizionato al rilascio degli ostaggi. È quello che fa sapere l'ufficio del premier israeliano, secondo quanto riferisce il Times of Israel. La minaccia di Netanyahu di cancellare la partenza, prevista secondo alcune fonti per questa sera, del team è arrivata dopo che il ministro degli Affari Strategici, Ron Dermer - che fa parte insieme al consigliere per la Sicurezza Nazionale, Tzachi Hanegbi del team - è stato informato che gli Usa intendono sostenere due separate risoluzioni Onu, una che chiede il cessate il fuoco ed un'altra che chiede il rilascio degli ostaggi. Una formula non accettabile per Israele, dal momento che il cessate il fuoco non sarebbe condizionato al rilascio degli ostaggi. La missione del team israeliano a Washington è stata decisa durante la telefonata tra il premier israeliano e Joe Biden, la prima in un mese, in cui il presidente americano ha ribadito di considerare un attacco a Rafah, un pericolo errore. Dopo la telefonata, e dopo la visita di Antony Blinken, Netanyahu ha ribadito chiaramente che gli israeliani entreranno nella città di Gaza, dove si trovano milioni di sfollati, "con o senza il sostegno degli Usa".
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