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Egitto, dalle opposizioni no al governo: “Nessun incontro se resta Mubarak”

Gli scontri di mercoledì in piazza Tahrir, che si sono conclusi con oltre 1.500 feriti e un bilancio che è salito a dieci vittime, sono stati causati da picchiatori professionisti mandati tra la folla dal partito di Mubarak. E' la denuncia che è emersa da più parti nella giornata in cui il Paese è giunto sull'orlo di una guerra civile e che viene confermata dalle rivelazioni da una fonte dell'agenzia di stampa LaPresse al Cairo. Intanto anche per la giornata di oggi si temono nuovi scontri tra le due fazioni in campo, quella dei sostenitori di Mubarak e quella degli oppositori al regime che chiedono un avvicendamento alla guida del Paese. Secondo Al Arabiya, i seguaci del presidente armati di «bastoni e coltelli», si sono diretti in piazza Tahrir, cuore della capitale e luogo simbolo di questi dieci giorni di protesta. E Al Jazeera racconta di una nuova sassaiola (con oggetti lanciati anche dai balconi dei palazzi circostanti) e di un teso faccia a faccia tra i due schieramenti che vengono tenuti separati da una fascia-cuscinetto di circa 80 metri.

In Italia, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha detto di essere stato contattato dal vicepresidente egiziano, Suleiman, e di avere ricevuto la richiesta di una mediazione italiana presso l'Europa affinché venga sostenuta una road map verso le riforme. Alcuni capi di Stato e di governo europei - Nicolas Sarkozy, Silvio Berlusconi, Angela Merkel, David Camerone Josè Luis Zapatero - hanno intanto diramato un comunicato congiunto invocando la fine delle violenze: «Assistiamo con estrema preoccupazione al deterioramento della situazione in Egitto. Il popolo egiziano deve poter esercitare il proprio diritto a manifestare pacificamente, e beneficiare della protezione delle forze di sicurezza. Le aggressioni contro i giornalisti sono inaccettabili».

Sul fronte politico egiziano, va invece registrata la nuova presa di posizione dei gruppi di opposizione. Mohamed ElBaradei e i Fratelli Musulmani hanno respinto l'offerta di dialogo avanzata dal neo-premier egiziano Ahmed Shafik, affermando che «prima deve andarsene Mubarak». «Abbiamo rifiutato l'incontro - ha spiegato ElBaradei - per noi qualsiasi negoziato presuppone le dimissioni di Mubarak e anche il ripristino della sicurezza a piazza Tahrir». Mohammed al-Beltagi, membro dei Fratelli musulmani, ha fatto sapere che la sua organizzazione «rigetta qualunque risultato emerga dall'incontro». Hanno invece accettato di dialogare con il governo, secondo quanto riferito da Al Jazeera, i liberali del partito Wafd.

Dal canto suo, il primo ministro egiziano Ahmed Shafiq parlando alla televisione Al-Hayat ha chiesto scusa per gli scontri di mercoledì, prennunciando l'apertura di un'inchiesta, e ha parlato senza mezzi termini di un «errore fatale». «Si è trattato di un errore fatale... Quando le indagini riveleranno chi è dietro questo crimine e come è stato possibile che sia accaduto prometto che i responsabili saranno puniti per quanto hanno fatto» ha detto Shafiq. Il primo ministro egiziano ha quindi aggiunto: «Non ci sono scuse che permettano di giustificare simili attacchi a pacifici manifestanti. Di questo chiedo scusa».

Quanto alla questione dei picchiatori ingaggiati dal partito di governo, la fonte della LaPresse parla di un prezzo pagato agli improvvisati miliziani che oscillerebbe «tra i 40 e 100 dollari a seconda della zona». Il testimone cita un caso personale: «Mio cugino è stato fermato nella città di Mansoura, mentre era in macchina da due uomini che si sono identificati come membri del Ndp e gli hanno offerto una cifra equivalente a 40 dollari per andare a picchiare i manifestanti». «Me l'ha raccontato subito per telefono» aggiunge, spiegando che «per le strade del Cairo il prezzo è più alto». Sempre la stessa fonte racconta che un uomo bloccato in piazza Tahrir nella capitale mentre picchiava manifestanti avrebbe chiesto: «Non fatemi niente, sono stato pagato, mi hanno dato 100 dollari per picchiare». Una versione, quella citata dall'agenzia, che fa il paio anche con il racconto di Davide Frattini, inviato del Corriere della Sera: «In mezzo a loro - si legge nell'articolo pubblicato oggi sul quotidiano - riappaiono (erano svaniti dopo il caos di venerdì) i giubbotti di pelle nera, gli occhiali da sole e gli sguardi che decidono da che parte stai. Agenti in borghese — o che almeno sembrano tali— dirigono la folla, danno indicazioni nei punti di accesso alla piazza».

Che ci sia stato oppure no un vero e proprio reclutamento di milizie di provocatori, il presidente egiziano, Hosni Mubarak, sarà ritenuto comunque «responsabile» di ogni altro «massacro» che avrà luogo in piazza, ha dichiarato ad Al Jazeera Hamdy Kandil, portavoce dell'Associazione Nazionale per il Cambiamento, il movimento guidato ElBaradei. L'ex capo dell'agenzia atomica internazionale continua intanto a spiegare al mondo, attraverso interviste ai principali media, le ragioni che inducono lui e molti altri a chiedere un cambio della guardia al vertice del Paese. Parlando con il britannico Guardian, ElBaradei chiede che la comunità internazionale ritiri sul proprio sostegno a Mubarak e a «un regime che uccide la sua gente». «Le violenze di ieri sono l'ennesima prova che il regime ha perso il senso comune», ha affermato ElBaradei -. Non abbiamo alcuna intenzione di avviare un dialogo con questo regime finché il principale responsabile di tutto ciò, Mubarak, non lascerà il paese. Deve andarsene. Ha ricevuto un voto di sfiducia da tutto il popolo egiziano, spero che abbia l'intelligenza di capire che per lui è meglio lasciare ora prima che il paese crolli, economicamente e socialmente».

 

Egitto: Altra devastazione, altri morti e feriti a piazza Tahrir

I manifestanti sono rimasti tutta la notte in piazza a fronteggiarsi e gli avversari di Mubarak inneggiano alla caduta del regime.Anche dopo un giornata di violenze nella quale migliaia di sostenitori del rais Hosni Mubarak hanno affrontato i manifestanti anti-regime provocando la morte di un recluta dell'esercito e il ferimento di oltre 600 persone. Anche dopo l'ennesimo invito a lasciare piazza Tahrir, lanciato dal vicepresidente Omar Suleiman, condizione indispensabile - ha detto - per far partire la transizione politica.

Lontanissima l'atmosfera e le scene festose della piazza e del centro del Cairo quando, solo ieri, sono stati 'invasi' da due milioni di manifestanti. Sassaiole, seguite da un fitto lancio di bottiglie molotov, alcune piovute anche nel cortile del museo egizio, la cui delicata antichita' non è fatta per resistere alla guerriglia urbana. I manifestanti pro Mubarak, che dalla mattina si sono portati attorno alla piazza, hanno anche tentato di caricare i manifestanti contro il rais con cavalli e perfino cammelli.

L'esercito non si è schierato. In mattinata aveva fatto diffondere un messaggio sulle televisione di stato nel quale chiedeva ai manifestanti di ritornare alle proprie case e alla vita di tutti i giorni, perché le loro richieste erano state comprese e rimaneva il rischio per la sicurezza della città. Ma i manifestanti, in piazza da sabato scorso, non hanno ascoltato l'invito e sono rimasti mentre le opposizioni si riunivano per fare il punto dopo il discorso di Hosni Mubarak e l'intevento, due ore dopo, del presidente Usa Barack Obama.

In serata il vicepresidente Suleiman ha avvertito che il "dialogo con le forze politiche dipende dalla fine delle proteste". Anche se il presidente egiziano ha detto che non si ripresenta' alle prossime elezioni e che avviera' la riforma costituzionale per mettere in gioco anche altri candidati, le opposizioni hanno ritenuto l'annuncio insufficiente per sedersi al tavolo del confronto ed hanno annunciato che l'intifada prosegue. Sempre in mattinata, prima che nella piazza si vedessero scene da guerra civile, erano venuti segnali di un timido ritorno alla normalita' con la ripresa, anche, dei collegamenti a internet.

Il coprifuoco e' stato ridotto di due ore ed è stata annunciata la riapertura delle banche a partire da domenica, consentendo alle gente di ritirare stipendi e contanti dopo giorni di casse chiuse. Segnali anche dalla politica quando il presidente dell'assemblea del popolo, Mohamed Fathi Sorour, ha annunciato che le sedute parlamentari sono sospese fino a quando non saranno valutati i ricorsi per irregolarita' nelle ultime elezioni legislative a novembre. Ma che l'aria nella piazza cominciasse a cambiare lo si e' capito non appena si sono presentati i manifestanti pro Mubarak, arrivando a confrontarsi fisicamente con gli anti rais prima in risse sporadiche e poi in veri e propri tumulti.

Fra i manifestanti della piazza girava gia' da questa mattina la voce insistente che dietro i manifestanti per il rais ci fossero agenti in borghese e supporter "prezzolati", che stavano provocando la piazza per creare scontri. Circostanza smentita dal ministero dell'Interno, ma che introduce un nuovo elemento di preoccupazione insieme alle intimidazioni anche fisiche contro i giornalisti stranieri.

La casa Bianca ha chiesto la fine immediata di "ogni violenza istigata dal governo", ed ha reso più urgente la richiesta di avviare la transizione immediata, definendola, dopo le violenze di oggi, "imperativa". Ma in giornata era gia' arrivato uno stop dal ministero degli Esteri egiziano, secondo il quale questi richiami dall'esterno servono solo "ad infiammare la situazione interna".

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