La maggioranza ancora una volta vota la fiducia e in segno di ringraziamento il governo cancella i taglia agli onorevoli. Quindi ancora una volta e per l’ennesima, pagano sempre e solo i lavoratori dipendenti perché ricevono un prelievo forzoso dal parte di questa insana classe politica. Che di giorno predica quasi bene ma nottetempo razzola sempre di male in peggio. Quindi non rimane altro che dire ancora una volta e forte: Vergogna!
Ma questi, chiamati impropriamente onorevoli (la parola onore è bella, piena di significati ma non applicabile a questa classe dirigente di destra che con il suo leader, ha distrutto in 17 anni di mal governo l’onore, il prestigio di tutta la nazione e degli italiani compresi), a sorpresa ieri hanno infilato un emendamento, targato appunto governo, che rafforza l'entità della manovra, con l'aumento dell'Iva, e la sua equità, con il contributo sui super-ricchi e l'anticipo della pensione a 65 anni delle donne, fa anche un bello sconto a ministri, deputati e senatori.
In attesa del promesso disegno di legge costituzionale per il dimezzamento del numero dei parlamentari, che forse non arriverà neanche oggi sul tavolo di Palazzo Chigi, l'articolo 13 della manovra sui costi della politica è stato abbondantemente rivisitato. Con una bella riduzione del taglio delle indennità dei membri di Camera e Senato, almeno sei volte di meno rispetto a quanto previsto nel testo originario, e l'ammorbidimento dell'incompatibilità del loro mandato con gli altri incarichi pubblici.
Tanto per cominciare, il taglio delle retribuzioni o delle indennità di carica dei componenti degli organi costituzionali (il 10% per la parte eccedente i 90 mila euro, il 20% su quella che supera i 150 mila), non si applicherà più da domani e per sempre, ma solo per quest'anno, il prossimo, e il 2013. E dalla sforbiciata, grazie alla modifica approvata ieri con il voto di Palazzo Madama, vengono fatti salvi «la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale».
Cosa che ha fatto infuriare il viceministro delle Infrastrutture, Roberto Castelli, contro i «boiardi» della Consulta e del Quirinale, che ha risposto per le rime. Spiegando che il Colle è estraneo alla formulazione della norma, che è il governo che semmai deve dare chiarimenti, e che, in ogni caso, ai dipendenti della presidenza della Repubblica «già si applica il contributo di solidarietà a suo tempo introdotto per la pubblica amministrazione». Che, per onor di cronaca, è pari alla metà: il 5% oltre i 90 mila euro, il 10% oltre i 150 mila.
Nessuna parola, né da Castelli, né dagli altri quasi mille rappresentanti della Camera e del Senato, sull'alleggerimento dei tagli all'indennità parlamentare, che pure l'emendamento prevede. Se un deputato o un senatore fa anche un altro mestiere e incassa più di 9.847 euro netti, l'indennità di carica di 5.486 euro mensili netti (cui poi si sommano tra diaria e rimborsi spese altri 7.193 euro, che non vengono toccati), non sarà più tagliata del 50% come prevedeva il testo originario. La sforbiciata si farà sul totale annuo percepito a titolo di indennità, e sarà pari al 20%, ma solo per la quota eccedente i 90 mila euro, e al 40% per quella che supera i 150 mila euro.
Non bastasse, anche il regime dell'incompatibilità dei parlamentari, prima ferreo con l'impossibilità di ricoprire «qualsiasi altra carica elettiva pubblica», viene notevolmente annacquato. Nella nuova versione del testo, infatti, l'incompatibilità è circoscritta alle altre cariche elettive «di natura monocratica» e relative a «organi di governo di enti pubblici territoriali aventi popolazione superiore ai 5 mila abitanti». Traduzione: i parlamentari potranno continuare a fare i sindaci nei Comuni piccoli e medi. Ma potranno anche avere l'incarico di assessore in tutti i municipi, compresi quelli delle grandi città.