“Il nuovo Istituto Penitenziario di Cagliari, che sta sorgendo in una desolata landa nel territorio del Comune di Uta e già tristemente noto per l’inadeguatezza di diversi locali e per il mancato rispetto di alcune norme relative alla vita degli operatori e dei detenuti, difficilmente potrà essere agibile nel primo semestre del 2012”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” dopo aver denunciato i forti ritardi nella realizzazione della struttura. Con la consegna dei lavori e degli arredi al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il nuovo carcere, per un corretto funzionamento – sottolinea l’ex consigliera regionale socialista – avrà bisogno non solo di un contingente di Agenti di Polizia Penitenziaria adeguato alle necessità di sicurezza di un Istituto di pena previsto per oltre 700 detenuti molti dei quali in regime duro, ma di una migliore rete viaria e di una vasta area attrezzata per accogliere i familiari dei detenuti, i magistrati, gli avvocati, i volontari e gli operatori. Per questo, come abbiamo richiesto ripetutamente, è indispensabile convocare all’inizio del nuovo anno, una conferenza dei servizi che coinvolga tutti i soggetti istituzionalmente responsabili per trasformare un territorio isolato in un zona accogliente, con apposite strutture ricettive, servita da collegamenti pubblici. In caso contrario verranno ulteriormente compromessi l’umanizzazione della pena ed il diritto all’affettività nonché quello alla salute considerata la distanza dalla città di Cagliari e quindi dagli ospedali. Si sta realizzando in Sardegna, con la costruzione delle nuove carceri pensando esclusivamente ai problemi di sicurezza, il disegno di chi vuole accrescere le servitù penitenziarie nell’isola e al tempo stesso allontanare la realtà carceraria dai centri urbani puntando all’ulteriore isolamento dei detenuti.
“In realtà la logica dominante nella nuova struttura di Uta – sostiene ancora la presidente di SDR – è di massimo contenimento e di totale spersonalizzazione del detenuto. Basti pensare all’assenza di spazi per gli educatori e all’utilizzo delle telecamere e dei sistemi di videosorveglianza per limitare la presenza degli Agenti di Polizia Penitenziaria ridotti a “tastieristi”. Significativo che non esista una sala colloqui ma un lungo corridoio e che le celle di un Istituto di nuova generazione non siano dotate di prese per i fornelli elettrici. I continui cambiamenti che vengono apportati in corso d’opera all’edificio – conclude Caligaris – provocheranno delle storture difficilmente sanabili. Il risultato di interventi “tappabuchi” sarà un pasticcio edilizio i cui costi saranno notevolmente lievitati ma senza garanzie di razionalità. Sarebbe quindi più che mai opportuno sciogliere il nodo della sua secretazione ormai fuori luogo per provvedere a ridisegnare la struttura secondo norme di ragionevolezza e convenienza”.