Il cavaliere sarebbe ormai cotto. Non basta la protezione delle opposizioni che non vogliono andare al voto per paura, anche se dicono che è per il bene del paese, del quale, sembra, non gli è interessato molto se hanno permesso di arrivare al punto in cui siamo in questi ultimi anni. Ma sarebbero il Senatur e il ministro dell’Economia a voler allontanare da Palazzo Chigi l’attuale inquilino e renderlo vulnerabile e finalmente farlo andare incontro ai giusti rigori delle leggi, che dovevano essere uguali per tutti ma così non è stato durante il suo nefasto ventennio. E i leghisti prevedono una prima resa dei conti già per stasera durante la cosiddetta "cena degli ossi". Una tradizione alpina, che quest'anno potrebbe vedere seduti allo stesso tavolo non solo Tremonti e Bossi, come al solito, ma anche Berlusconi. Il menù gastronomico sarà l'opposto del menù politico. Durante la rituale abbuffata di ossi di maiale, lenticchie, fagioli con la cipolla, soppressa, salame di camoscio, vino e grappa, Giulio e Umberto spiegheranno all'amico Silvio che la festa, per il governo, è davvero finita. E che le elezioni anticipate sono ormai inevitabili. Non per volontà politica della Lega, ma per contabilità aritmetica in Parlamento.
Questa, dunque, potrebbe essere la svolta delle ultime ore. Un appuntamento conviviale per i lumbard, che può diventare uno snodo esiziale per la legislatura. Il padrone di casa è il ministro dell'Economia, che è già in loco (ieri, muto come un pesce, sciava sulle piste tra Auronzo e Misurina) e che come ogni anno, tra San Silvestro e la Befana, riunisce all'Hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore il vertice del Carroccio. Il Senatur, ovviamente, ma anche Calderoli e Castelli. La novità, appunto, è che stasera potrebbe sedersi a tavola anche il presidente del Consiglio. Invitato dallo stesso Tremonti, in pieno accordo con Bossi, per fare il punto della situazione. Una situazione tutt'altro che eccellente, per la maggioranza forzaleghista amputata della componente finiana, e dunque in procinto di tramutarsi in una minoranza "cadornista" nelle Commissioni parlamentari, e forse addirittura nell'aula di Montecitorio. Proprio a partire da questa consapevolezza, che il super ministro condivide con il leader padano, i due cercheranno di far capire al Cavaliere che "la linea di Cadorna" non conviene a nessuno. Non solo non conviene alla Lega, che in questo momento secondo i sondaggi lucra il massimo dei consensi potenziali. Ma non conviene neanche allo stesso Berlusconi, primo ad essere danneggiato da una logorante ed estenuante "guerriglia parlamentare", che non gli risparmierebbe comunque una rovinosa Caporetto.
La posizione del premier è nota. Vuole durare, a qualsiasi prezzo. In primo luogo perché sul fronte giudiziario si profila un'ipotesi a lui non sgradita: se davvero (come sembra probabile secondo le ultime indiscrezioni) la Consulta l'11 gennaio si acconciasse ad emettere una sentenza "interpretativa con rigetto" del ricorso sulla legge per il legittimo impedimento, il Cavaliere sarebbe sostanzialmente salvo. Lo scudo processuale che lo protegge, ancorché rimesso di volta in volta alla decisione di merito dei tribunali che lo convocano in udienza, resterebbe in piedi. E questa, per lui, è la cosa che conta di più, e che da sola basterebbe a indurlo a non interrompere, a nessun costo, la legislatura. In secondo luogo, perché per ragioni legate alla sua vocazione cesarista e plebiscitaria il Cavaliere non contempla mai lo scenario della sconfitta, quale sarebbe comunque una caduta del suo attuale governo. Per questo si ostina ad intensificare la campagna acquisti dei deputati. Anche qui, a qualsiasi prezzo. La possibilità di imbarcare tutta intera l'Udc sembra sfumata. Casini resiste, come dimostra la lettera con la quale chiede al presidente del Consiglio di intercedere presso Putin per garantire il rispetto dei diritti umani nei confronti di Khodorkovskij: una vera "provocazione" per Silvio, che non farà mai un affronto del genere all'"amico Vlady".
Quindi, per il Cavaliere resta in ballo solo la possibilità di ingaggiare qualche singolo parlamentare, tra i futuristi pentiti e i centristi indecisi. Ma anche in questo caso, la compravendita sembra non dare i frutti sperati. Per questo il premier penserebbe anche a soluzioni estreme, come far dimettere da parlamentari almeno una decina tra ministri e sottosegretari, e far posto così ad altrettanti deputati che consoliderebbero la fragilissima "quota 314" raggiunta il 14 dicembre alla Camera. Con questo rafforzamento, Berlusconi è convinto di poter reggere fino al 2013. E di far passare le leggi che gli servono per ragioni di coalizione (come il federalismo fiscale) e quelle che gli stanno a cuore per ragioni di giurisdizione (la riforma della giustizia, le intercettazioni, il Lodo Alfano costituzionale). Questo, stasera, cercherà di spiegare ai suoi commensali. "Possiamo andare avanti, abbiamo il dovere di governare".
Ma dall'altra parte del tavolo si troverà, come richiede il rito della cena padana, due "ossi" duri. Tremonti e Bossi la vedono in tutt'altro modo. La situazione è quella "che vedono tutti". L'assunto di partenza del Senatur e del super ministro è che un conto è la "maggioranza di un giorno", un altro conto è una "maggioranza di governo". Quella di cui oggi dispone il Cavaliere appartiene alla prima fattispecie, non più alla seconda. Ed è per questo che le elezioni anticipate sono e restano lo "scenario più probabile". Nelle commissioni parlamentari (a partire dalla Bilancio, cioè la più importante) Pdl e Lega non hanno più la maggioranza. Per ristabilirla servirebbe rimpinguare l'attuale coalizione con "non meno di 40 deputati". Impensabile, persino se riuscisse il capolavoro di spaccare il Terzo Polo, separando Casini da Fini. Tremonti e Bossi cercheranno di dimostrare a Berlusconi che tutte le soluzioni intermedie di "allargamento" non tengono. Perché una "parziale maggioranza numerica" serve a poco. Puoi vincere la battaglia di un giorno, ma perdi la guerra della legislatura. Servirebbe una "vera maggioranza organica", che non c'è più e non si può ricreare.
Ecco perché il "cadornismo" - è il concetto che il super ministro e il Senatur ribadiranno alla cena - rischia di essere solo un danno. Per tutti. Il Cavaliere dovrà prenderne atto: resistere con questi numeri non solo non ti consente di "fare le grandi riforme", dal federalismo al fisco al mercato del lavoro. Allo stato attuale, non ti consente nemmeno di "portare avanti l'ordinaria amministrazione", dal decreto mille proroghe alle norme sul made in Italy. Ogni votazione diventa "una roulette russa": sei appeso alla "missione di un sottosegretario", o a qualunque "imboscata dell'opposizione". Anche sulla teorica "fase due" dello sviluppo, cioè il rilancio della crescita economica attraverso qualche norma che allarghi i cordoni della borsa e permetta al governo di offrire qualcosa di concreto alle parti sociali, i margini non ci sono. Tremonti lo va ripetendo da giorni: sappiamo tutti che abbiamo un "vincolo esterno" da rispettare, e che i mercati ci tengono nel mirino con lo "spread" del rendimento tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi. Al Tesoro circola un'iperbole: qualunque nuova legge di spesa tu vari, ammesso che il Parlamento te la approva, non fai in tempo a pubblicarla in Gazzetta ufficiale che devi già "rialzare le tasse perché nel frattempo sono aumentati i tassi".
Questo diranno Umberto e Giulio: "Così non si va da nessuna parte, tanto vale tornare a votare". Proveranno a persuadere Berlusconi che in questo atteggiamento non c'è alcuna "malsana pulsione nichilista", ma solo una "sana logica realista". Che non c'è nessuna volontà di affossare la sua leadership, anche se, come sostiene un ministro che lo conosce bene, "lo stesso Bossi gli sarà fedele fino all'ultimo minuto, ma appena vede che la situazione si impaluda, ci mette cinque minuti a cambiare strategia...". Ora ci siamo dentro fino al collo, nella palude. Sarà difficile far ingoiare al premier questa verità, insieme alle lenticchie e al salame di camoscio. Che vi partecipi o no, questa "cena degli ossi" gli resterà sullo stomaco.