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Fini-Barbareschi: ieri lite furibonda tra i due: oltre a insulti sono volate anche penne

In piena azione il mercato delle “vacche” grasse e magre, basta che in futuro, dopo essere stati ‘corrotti-comprati’ dagli emissari con tante lusinghe ed altro e poi perdere libertà individuale e di pensione ed eseguire senza mai mettere in discussione gli ordini del cavaliere, l'aria nel nuovo partito creato da Gianfranco Fini ieri è stata elettrica. Infatti, ad una settimana dall'assemblea costituente che darà vita al partito di Futuro e Libertà, lo dimostra un lancio di penne. Quello intercorso tra Gianfranco Fini da una parte e Luca Barbareschi dall'altro. Negli uffici del gruppo i parlamentari discutevano, alla presenza del leader, dell'appuntamento congressuale, di incarichi e programma quando Barbareschi ha fatto notare che a lui, personalmente, sarebbe piaciuto guidare la commissione Cultura dell'assemblea. Gelida la replica di Fini: «In questa fase, non posso davvero affidarti nulla». Alle proteste del regista - nella bufera per aver pericolosamente flirtato con Berlusconi e per essersi astenuto nel voto su Ruby - al suo «voi non mi meritate, questo è un partito di oligarchi!», Fini ha replicato feroce: «Come ti ho detto in privato, te lo ripeto in pubblico: ci sono attori e pagliacci. I pagliacci non fanno sempre ridere, a volte fanno anche piangere».

Da lì, è stato un crescendo di urla, gesti di stizza - le penne lanciate appunto - sbattere di porte. Una lite furiosa che però per ora non significa addio: «Si sono sentiti, e chiariti: non se ne va», dicono i fedelissimi del leader. «Non me ne vado, tra poco si chiarirà tutto», conferma Barbareschi. Ma pur senza scene madri, sono in molti oggi nel Fli a provare delusione e disagio per i postumi della sconfitta del 14 dicembre che sembrano non finire mai. L'occhio languido strizzato alla sinistra, la leadership del terzo polo appaltata a Casini, la perdita di pezzi nel rassemblement, voti parlamentari che consegnano nuove sconfitte... Sdrammatizza Benedetto Della Vedova: «Che si discuta tra di noi è un bene, siamo un partito vivo. Sarei preoccupato del contrario».

Ammette Carmelo Briguglio: «E' possibile che in assemblea si assista a un confronto dialettico tra chi è anti-berlusconiano e chi a-berlusconiano, ma da questo partito non se ne va nessuno». E comunque, aggiunge Pasquale Viespoli, il problema non è più nemmeno attuale: «Ormai i numeri Berlusconi ce li ha, uno in più o in meno con noi non cambia le cose. Il nostro obiettivo oggi deve essere conquistare il consenso di quella destra che nel Paese c'è e che noi possiamo rappresentare al meglio con i nostri valori e la nostra fermezza. E aver messo nello statuto e nel programma il riferimento al Ppe dovrebbe garantire tutti gli amici moderati che non ci saranno derive di alcun genere. Quindi va bene ammettere errori, ma poi torniamo a guardare avanti fiduciosi». Sì perché i mal di pancia in Fli sono soprattutto nell'area moderata, che teme come la peste uno scivolamento a sinistra e applaude alle parole di Donato Lamorte al Corriere («Mai con il Pd»). «Ma nessuno di noi lo vuole - assicura Adolfo Urso -. Ormai è chiaro che al voto non si va, avremo il tempo per costruire un centrodestra alternativo all'attuale». Magari guardando alla Lega, che Fini vede «in grande agitazione», tanto da non ritenere affatto impossibile un distacco tra il Senatur e Berlusconi in questi «giorni non certo esaltanti per il pubblico decoro della politica». Se ne parlerà a Milano, alla Costituente nella quale sono attese almeno 5.000 persone, che eleggerà presidente Fini (ma lui si autosospenderà) e una segreteria per portare il partito al prossimo congresso di una quindicina di membri tra i quali ci saranno tutti i big - dai capigruppo Bocchino e Viespoli a Ronchi, Della Vedova, Briguglio, Granata, Lamorte - e con Urso portavoce politico e Menia segretario organizzativo.

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