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In Libia un’altra Afghanistan, come se ne esce?

Il Qatar fornisce artiglieria leggera ai ribelli, accusa il ministro degli Esteri libico Khaled Kaim: abbiamo le prove, Doha passa ai guerriglieri i lancia-missili francesi Milan. Ai guerriglieri però non basta: da giorni chiedono alla coalizione internazionale di fare di più contro Gheddafi e oggi e domani, a Berlino, 28 alleati della Nato cercano di ritrovare, ammesso che ci sia mai stata, una posizione comune sul ritmo da imprimere alla missione militare in Libia.

I ministri degli Esteri dei paesi Nato arrivano nella capitale tedesca dopo la riunione di ieri, in Qatar, del Gruppo di contatto, che ha deciso di creare un fondo per aiutare il Consiglio nazionale di transizione dei ribelli dell'est e ribadito che Gheddafi deve andarsene. Le forniture di armi non sono invece menzionate esplicitamente nel comunicato finale, che con equilibrismo diplomatico parla tuttavia di "strumenti materiali per l'autodifesa". Sul significato pratico dell'espressione, racconta un ufficiale statunitense coperto dall'anonimato, i Paesi hanno posizioni diverse. 

 La Francia ufficialmente non prevede di fornire armi agli insorti in lotta contro il Muammar Gheddafi ma non ha nulla in contrario se lo fa qualcun altro, fa sapere, invece, un funzionario dell'Eliseo dopo l'incontro a Parigi tra il presidente Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron. Armare gli insorti oggi "non sembra necessario in quanto il Consiglio nazionale provvisorio non ha problemi a trovare le armi di cui ha bisogno e amici che insegnino loro come usarle", ha aggiunto la fonte dell'Eliseo.

 Ironia della sorte, tocca alla Germania, che fin dall'inizio si è tirata fuori dalla guerra, prima astenendosi al consiglio di sicurezza dell'Onu e poi non partecipando alle operazioni militari in Libia, ospitare la riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi Nato. Paesi che restano divisi sul proseguimento e sugli obiettivi della guerra in Libia. 

 Solo sei su 28 partecipano alle operazioni di attacco di target al suolo (Francia, Gran Bretagna, Danimarca, Belgio, Canada e Usa). L'Italia, la Spagna, l'Olanda e la Svezia agiscono con regole (caveat) più strette e non partecipano ai bombardamenti.
Le difficoltà sono emerse evidenti dal 4 aprile scorso, quando gli Usa hanno deciso - come annunciato - il ritiro dei loro aerei da combattimento e dei loro missili Tomahawk dal teatro delle operazioni. Da allora, il segretario generale Anders Fogh Rasmussen ha chiesto agli altri alleati, Italia inclusa, un maggior impegno. Finora senza successo. Il Pentagono peraltro ha rivelato che gli aerei Usa hanno continuato a bombardare le difese aree libiche anche dopo il trasferimento alla Nato del comando delle operazioni militari nell'area. Gli Stati Uniti hanno pero' sottolineato che il loro ruolo resta quello di semplice supporto alle operazioni decise e condotte dagli altri paesi dell'Alleanza. Gli USA, insomma, continuano ad esserci, ora tocca agli europei. 

La Francia e la Gran Bretagna - che si stanno accollando la metà degli attacchi a terra - arrivano a Berlino con la richiesta di imprimere una svolta all'operazione, per accelerarne il ritmo e l'intensità. Ma a Doha, Rasmussen ha respinto al mittente le critiche di Parigi. "Non sono d'accordo con la descrizione di una Nato lenta", ha dichiarato Rasmussen. "Le nostre operazioni termineranno quando non ci saranno più minacce per i civili sul terreno", ha assicurato. "La soluzione non è militare, ma politica", ha ribadito Rasmussen. Sì, ma come arrivarci? Gli alleati sono divisi sul Consiglio nazionale di transizione (Cnt) a cui fanno riferimento i ribelli anti-Gheddafi. Italia e Francia l'hanno riconosciuto ufficialmente, gli altri no. La Gran Bretagna li vorrebbe armare ed addestrare. Il Belgio ritiene invece che la risoluzione dell'Onu, che prevede l'embargo delle armi contro la Libia, valga anche per gli insorti.

 Nella bozza di una dichiarazione congiunta del vertice in corso a Sanya, in Cina, Brasile Russia India Cina e Sud Africa affermano di "condividere il principio secondo il quale l'uso della forza deve essere evitato" e si dicono "profondamente preoccupati"
per gli avvenimenti in Medio Oriente e Nord Africa.