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L’italicum è legge, la camera approva la riforma elettorale

Con 334 sì, 61 no e 4 astenuti l'Italicum passa alla Camera. Il voto è arrivato dopo una lunga giornata di discussione a Montecitorio. Tra richieste di voto segreto, opposizioni sull'Aventino e pesanti critiche alla maggioranza e al governo.

A favore si sono dichiarati i gruppi Pd, Ap, Sc e Pi-Cd. L'opposizione ha scelto di abbandonare l'Aula e di non partecipare al voto mentre i deputati della minoranza del Pd in dissenso con la legge sono rimasti nell'Emiciclo e hanno votato no. Hanno partecipato al voto anche alcuni esponenti di Forza Italia come Saverio Romano e Francesco Paolo Sisto. Il voto segreto è stato chiesto da Fi, Lega e Fratelli d'Italia.

L'Italicum passa ora al vaglio del Quirinale per la promulgazione da parte del Capo dello Stato che con la sua firma deve autorizzarne la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La nuova legge elettorale tuttavia entrerà in vigore dal primo luglio del 2016 come prevede la clausola di salvaguardia contenuta nel testo approvato oggi. Il nuovo sistema elettorale, infatti, si applica solo alla Camera ed è quindi legato all'approvazione della riforma costituzionale, attualmente all'esame di Palazzo Madama, che abolisce l'elezione diretta dei senatori.

Italicum, le opposizioni escano dall'Aula. Stanotte il voto finale

È il giorno del voto finale sull'Italicum, la nuova legge elettorale su cui il governo ed il premier Matteo Renzi hanno puntato tutto e "rischiato l'osso del collo" con il voto di fiducia. L'appuntamento a Montecitorio è per la tarda serata, il responso dell'Aula dovrebbe arrivare infatti intorno alle 22. E mentre all'interno del Pd la minoranza deve scegliere se votare contro la riforma o astenersi, le opposizioni hanno scelto e non parteciperanno alle votazioni. Si smarca il Movimento 5 Stelle, che lancia anche un appello alle altre forze politiche e resterà in Aula: "Opposizioni votino contro l'Italicum a voto palese".

Intanto ieri Renzi è stato contestato a Bologna dove, all'esterno della Festa dell'Unità, ci sono stati scontri con le forze dell'ordine e, all'interno, il premier ha prima ricevuto i fischi dei precari della scuola e poi li ha voluto incontrare. La 'misura' del dissenso Dem e le scelte delle opposizioni, i timori di un Aula infuocata e la pressoché assoluta certezza che la nuova legge elettorale alle porte segnerà, molto probabilmente, 'un prima e un dopo' non solo nelle 'regole del gioco' della politica italiana. "Il traguardo", indicato con forza dal premier Matteo Renzi anche ieri, segnerà anche una nuova tappa nel dissenso interno al Pd dopo lo strappo dei '38' della settimana scorsa sulla fiducia. Uno strappo che quel gruppo oggi ribadisce, seppur in forme diverse, e che potrebbe allargarsi rischiando di depauperare l'entità della maggioranza sulla legge elettorale.

Anche per questo i renziani puntano innanzitutto a far sì che la soglia, in Aula, non scenda sotto la maggioranza assoluta di 316 deputati anche se il rischio, al momento, sembra davvero lontanissimo. Ed è lo stesso presidente del Consiglio, dal palco della Festa dell'Unità di Bologna, a mostrare sicurezza. "Non ci fermeremo a cento metri dal traguardo" scandisce Renzi guardando innanzitutto all'approvazione di oggi e quasi tendendo la mano, salutandolo dal palco, a uno dei 38 dissidenti (37 dopo l'addio di Guglielmo Vaccaro al Pd), quel Gianni Cuperlo che, pochi minuti prima, assicurava che dalla minoranza "non ci saranno agguati", confermando al tempo stesso il suo "voto non favorevole" alla legge.

Questa mattina il gruppo dei 'ribelli' dem si è incontrata per decidere se tramutare il dissenso in un voto contrario o in un non voto al testo anche se "l'orientamento prevalente è votare contro", spiega Alfredo D'Attorre, sottolineando come il dissenso "potrebbe allargarsi". E l'allargamento potrebbe investire fino ad una decina dei 50 esponenti di Area Riformista che, al momento della fiducia, annunciarono con un documento la loro responsabilità e che domani voteranno sì alla legge. I 'no' (o il non voto) all'Italicum, nel Pd, potrebbero essere così tra i 40 e 50: numeri che non intaccano la possibilità che la legge passi ma che, se le opposizioni resteranno in Aula per votare contro, potrebbero far scendere la maggioranza almeno a 330.  E, al di là dei numeri saranno comunque dei 'no' pesanti, quelli ribaditi da esponenti democratici del calibro di Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza o Enrico Letta che ieri sera, in tv, è tornato all'attacco sottolineando come l'Italicum sia "parente stretto" del Porcellum e paragonando l'atteggiamento del governo Renzi a quello dell'esecutivo di Silvio Berlusconi. "In Aula si rispetti la decisione che il Pd ha preso insieme" è l'appello in extremis del presidente Matteo Orfini. Ma i segnali, al momento vanno in direzione opposta. E se Pippo Civati è dato ormai in uscita D'Attorre, pur non parlando di scissione, ritiene "necessario" un confronto con gli iscritti per una "ferita che segna 'un prima e un dopo'" nella storia del Pd.

Le opposizioni hanno deciso dopo un incontro questa mattina: non parteciperanno al voto finale sull'Italicum. Lo ha annunciato il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta. "Nessuna delle opposizioni parteciperà al voto finale", ha detto il capogruppo azzurro. Nonostante questo "Forza Italia la Lega e Fratelli d'Italia hanno formalizzato la richiesta del voto segreto", ha reso noto il deputato azzurro Rocco Palese. Malumori in Forza Italia sulla scelta di non partecipare al voto finale sull'Italicum.