Cagliari, 20 Set 2015 - Braccio di ferro tra Ungheria e Croazia. Da un lato il governo di Budapest, determinato a sigillare il Paese per impedire l'ingresso di profughi, ha annunciato di aver completato la posa della recinzione spinata lungo i 41 chilometri di frontiera con la Croazia. "La Croazia ha deluso non solo l'Ungheria, ma anche l'Unione europea", non difendendo adeguatamente i confini esterni del blocco, e "ha rinunciato a tutti gli impegni legali che lo vincolano" ha dichiarato il portavoce del governo di Budapest, Zoltan Kovacs, affermando che la Croazia sta portando "in modo continuato" migranti al confine ungherese.
E la dimostrazione di quanto in Ungheria possa essere pericolosa la situazione è nel video di László Toroczkai, sindaco di Ásotthalom, centro abitato del sud dell’Ungheria al confine con la Serbia che si trova nella provincia di Csongrád, dove i giorni scorsi è stato decretato lo stato di emergenza.
Toroczkai, 37 anni, giornalista, è un esponente del partito ultraconservatore Jobbik e governa la cittadina dal 2013. Di recente diversi organi di stampa hanno parlato di lui e della sua città per i cartelli apparsi alle stazioni dei bus al fine di mettere in guardia i cittadini dalle malattie contagiose diffuse dai migranti.
L'ultima trovata è un video realizzato per scoraggiare i migranti dal venire in Ungheria. Il primo cittadino di Ásotthalom spiega che il suo paese accoglie di buon grado chiunque arrivi in modo quindi regolare, ma ricorda che dal 15 settembre l’attraversamento illegale delle frontiere ungheresi può comportare facilmente l’arresto e l’espulsione dal paese per diversi anni.
Il filmato mostra agenti della guardia civica e uomini della forestale intenti a sorvegliare le zone prossime al confine serbo. Sottolinea l’impegno delle autorità a proteggere i confini nazionali e la determinazione di Ásotthalom a contribuire alle iniziative del governo per la sicurezza degli ungheresi. Nelle ultime sequenze il sindaco appare in primo piano con gli occhiali scuri e le mani in tasca; dietro di lui uomini della guardia civica, la maggior parte dei quali con la mimetica. Il messaggio ai clandestini diretti in Germania è che la via più semplice è quella che passa per la Slovenia e la Croazia. "L’Ungheria non è una buona scelta" dice Toroczkai in primissimo piano che conclude: "Ásotthalom è la peggiore".
Dall'altro le autorità della Croazia, paese membro dell'Unione europea ma non dell'area Schengen, che continuano a trasportare i migranti dalla frontiera con la Serbia verso quella con l'Ungheria. "Non vi è stato alcun accordo con l'Ungheria", ha spiegato alla stampa il premier croato Zoran Milanovic. "In qualche modo li abbiamo costretti ad accettare i rifugiati, inviandoglieli alla frontiera, e continueremo a farlo", ha proseguito il premier croato che questa mattina ha visitato un centro di accoglienza a Beli Manastir, nel Nord-est, in corso di svuotamento. Oltre ai 41 chilometri su cui è stato posato il filo spinato, il resto della frontiera tra Croazia e Ungheria è delimitato dalla Drava, un affluente del Danubio di difficile attraversamento.
Se le rotte di terra mostrano tutta la fragilità politica dell’Europa, quelle di mare sono testimoni di un’altra tragedia. Una bimba siriana di 5 anni è morta nel naufragio del barcone su cui viaggiava al largo della Grecia, mentre altri 13 migranti sono stati soccorsi dalla Guardia costiera ellenica. Il naufragio è avvenuto a nord dell'isola di Lesbo. Il portavoce della Guardia costiera greca, Nikos Lagadianos, ha spiegato che la bimba era già priva di conoscenza quando è stata soccorsa in mare ed è morta all'ospedale di Lesbo. Gli altri 13 sono state salvati ma sul barcone c'erano in tutto 26 persone e quindi le operazioni dei soccorritori vanno avanti. Un'altra morte dopo quella della bimba siriana di 4 anni annegata ieri al largo delle coste turche e il giovane morto fulminato nel tunnel sotto la Manica che collega Francia e Gran Bretagna. Intanto è salito a 4.541 il numero dei migranti soccorsi dall'alba di oggi nel Canale di Sicilia, a 30-40 miglia dalla Libia, mentre a bordo di barconi e gommoni, erano diretti verso le coste italiane. Le operazioni - una ventina, alcune non ancora concluse - sono state coordinate dalla Guardia Costiera con l'impiego di una decina di unità navali, alcune del dispositivo Frontex.