Roma, 10 Mar 2016 - Ad una settimana dalla morte le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano arrivano in Italia, al termine di lunghe trattative con i libici e attraverso modalità definite "penose" dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Ma l'autopsia sui corpi è stata fatta a Tripoli e scatta l'ira dei familiari di Failla, che convocano una conferenza stampa per accusare lo Stato "che non ha tutelato Salvo. Lo hanno ucciso due volte". La moglie Rosalba ha anche fatto ascoltare la voce del marito contenuta in una registrazione fatta sentire dai rapitori lo scorso 13 ottobre: "ho bisogno di aiuto. Parla con giornali e tv", le parole dell'uomo. "Ma ci hanno detto di stare zitti e non rispondere più alle telefonate ed io ora mi sento in colpa", dice Rosalba.
Il C-130 dell'Aeronautica militare con a bordo le salme di Failla e Piano è atterrato all'aeroporto militare di Ciampino a mezzanotte e 40 minuti. Ad accoglierle, i familiari dei due tecnici della Bonatti, accompagnati in aeroporto dopo la lunga attesa da lunedì in un albergo della capitale e il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni Circa un quarto d'ora dopo l'atterraggio è stato aperto il portellone della parte posteriore del C-130 dell'aeronautica militare: a bordo è salita, per qualche minuto, una rappresentanza formata probabilmente da alcune autorità. Nel frattempo si sono posizionati i due carri funebri di color grigio a pochi metri di distanza dal velivolo. All'1,05 i feretri di color marrone chiaro sono stati fatti scendere a spalla dagli addetti dell'agenzia delle pompe funebri e posizionati all'interno dei due mezzi funebri. I carri funebri si sono quindi mossi lentamente verso la palazzina del 31/o stormo dove sono in attesa i familiari di Salvatore Failla e Fausto Piano. I familiari si sono quindi avvicinati ai due carri funebri, in presenza anche di un sacerdote in abito talare che ha benedetto le bare. I familiari sono stretti fra di loro, composti nel dolore, e hanno a lungo sostato davanti ai portelloni aperti dei due mezzi funebri.
Le richieste italiane erano quelle di avere i corpi integri, in modo da poter fare l'autopsia in Patria, come disposto dalla procura romana. L'analisi delle ferite e dei proiettili è infatti fondamentale per far luce sulla dinamica di quanto accaduto e sulle relative responsabilità. Ma le autorità libiche hanno fatto muro, con l'obiettivo di alzare la posta e ottenere un adeguato riconoscimento politico da un Paese che, come il resto della comunità occidentale, finora ha privilegiato il Parlamento di Tobruk come interlocutore. Dalla procura di Tripoli, ieri mattina, hanno fatto sapere che l'autopsia era in corso, alla presenza di un medico legale italiano inviato dalla Farnesina. "Non è un'autopsia superficiale, è un'autopsia completa per poter estrarre, se c'è, il proiettile dai corpi. Estrarre il proiettile è importante in quanto ha 'impronte' che determinano il tipo d'arma che ha causato il decesso", ha riferito all'Ansa il direttore dell'Ufficio inchieste presso la Procura generale di Tripoli, Sidikj Al-Sour.
E che le trattative siano state particolarmente dure tra la delegazione giunta da Roma ed i libici lo rivela la stessa Rosalba Failla, raccontando che i rappresentanti italiani "sono stati costretti a dargli i corpi per l'autopsia perché gli hanno puntato un'arma alla testa". Rosalba Failla, insieme alle figlie Erica ed Eva, incontra i giornalisti nello studio del legale Francesco Caroleo Grimaldi per esprimere tutta la sua rabbia. ”È da lunedì - dice la donna - che siamo qua, ci siamo portati solo un cambio, perché dovevano arrivare quel giorno. Non sappiamo quando tornano, le ultime notizie che ci hanno dato è che gli avevano fatto l'autopsia ed io li ho mandati a quel Paese ed ho staccato il telefono". E' Grimaldi a spiegare che l'autopsia svolta a Tripoli, anche se alla presenza di un medico italiano, "non ci dà alcuna garanzia. Anche solo lavare un corpo in quelle condizioni comporta l'impossibilità di risalire alla verità".
La versione che arriva dalla Libia è quella di un'esecuzione con colpo alla nuca da parte di un gruppo legato all'Isis. Per gli inquirenti italiani, invece, le vittime potrebbero essere cadute sotto i colpi delle milizie della municipalità di Sabrata impegnate in un'operazione contro il gruppo dei sequestratori.
Rosalba Failla racconta quindi di un disperato appello del marito, probabilmente registrato, che i rapitori - rivolgendosi a lei in un italiano stentato - le fecero sentire in una telefonata dello scorso 13 ottobre: "Ciao sono Salvo, i miei compagni li hanno portati via, io sono rimasto da solo e ho bisogno di cure mediche, ho bisogno di aiuto. Parla con giornali e tv, vedi di muovere tutto quello che puoi muovere". Ma, spiega le donna, "dopo la telefonata mi è stato detto da chi stava lavorando al caso di non rispondere più al telefono, di stare zitti, di non parlare con nessuno dei rapitori. Mi sono rivolta al ministero degli Esteri e ci dicevano che a mio marito era stato imposto di dire così, ma secondo me Salvo mi chiedeva davvero aiuto, perché la voce era sofferente, sentivo che soffriva".