Cagliari, 26 Mar 2016 - Lo Sport è latore di tanti messaggi educativi e sociali. Uno di questi è l’uguaglianza dei diritti. Nello Sport, ma anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni. Chi come me, come noi, è appassionato di Basket e di Sport, lo sa ancor più di altri: nella patria del pallone a spicchi, gli Stati Uniti, le norme condivise puntano a rendere omogenee le condizioni di partenza di ogni singola squadra e a impedire l’accumularsi di vantaggi. Gli strumenti sono il salary-cap e il sistema del draft che assegna il diritto di prelazione dei nuovi talenti in base all’ordine di classifica invertito.
In Italia, purtroppo, siamo ancora tanto lontani dal mettere tutte le squadre nelle stesse condizioni. E la mia società se ne è accorta quest’anno, mai come in passato.
La stagione che va a finire è iniziata tra mille incognite legate ai tentennamenti, di questa e delle precedenti annate, da parte della Regione Sardegna sui contributi prima concessi e poi ritrattati.
Dopo alcune rassicurazioni, e con tanto coraggio, abbiamo deciso di imbarcarci per il quinto anno consecutivo nell’impresa della A1 femminile. Impresa che dovrebbe rappresentare un orgoglio per la nostra città e per la nostra Regione.
Nonostante le difficoltà economiche nel comporre il roster, siamo riusciti a portare a Cagliari alcune tra le giocatrici più importanti di tutta la Lega che, oltre a mettere tanti punti a referto gara, hanno portato lustro alla nostra Terra e a tutto il movimento cestistico nazionale: una su tutte, Samantha Prahalis, miglior realizzatrice della Serie A1, che ha realizzato con la maglia del Cus Cagliari Energit 50 punti in una gara, record di sempre della A1.
Purtroppo, a questi risultati agonistici non sono corrisposti rispetto e considerazione dovuti: anche quest’anno, per scelta della Lega Basket Femminile, nemmeno una nostra partita è stata considerata degna della prima serata su Sport Italia; inoltre in talune circostanze, diverse scelte arbitrali ci hanno penalizzato oltremodo, quasi che fossimo figli di un Dio minore.
La goccia, e utilizzo un eufemismo, che ha fatto traboccare il vaso, e mi obbliga a questo sfogo, è arrivata nelle scorse ore. Nel preparare la trasferta del 26 marzo a Napoli (ma in questo campionato è successo più volte), non abbiamo trovato nemmeno un biglietto aereo disponibile, motivo per il quale abbiamo chiesto e ottenuto l’anticipo dell’incontro a venerdì 26 marzo. Ogni biglietto aereo è costato 400 €. Ripeto: 400 €. Inoltre, i nostri tecnici, dirigenti e giocatrici hanno dovuto chiedere e ottenere un permesso dal proprio lavoro, essendo la nostra una realtà di sport dilettantistico.
L’ormai assenza sostanziale di continuità territoriale, unita all’abbandono della Sardegna da parte delle compagnie low-cost, sta uccidendo il movimento sportivo isolano che si vede costretto ad affrontare costi per le trasferte 2 o 3 volte superiori a quelli delle società di altre regioni. Stessi problemi per le altre squadre del Cus Cagliari che militano nei campionati nazionali e per le nostre rappresentative universitarie.
Come se, in una gara di 100 metri, i sardi partissero dai 150 metri. Il tutto nel disinteresse totale delle istituzioni politiche. Pochi mesi fa, la beffa dell’accordo Coni-Alitalia che consente forti agevolazioni alle società sportive di tutta Italia (79 € a biglietto aereo). La Sardegna è l’unica regione esclusa. Perché? Perché la Sardegna “gode” già delle agevolazioni della continuità territoriale. Cornuti e mazziati.
Andare avanti su questa strada, non può far altro che uccidere il nostro movimento sportivo. E lo sport non è che la punta di un iceberg che vede moltissimi sardi, emigrati per lavoro, impossibilitati a tornare a casa durante le feste per l’assenza di biglietti o con prezzi astronomici già mesi prima. Lo sport aiuta a dare ancora qualche speranza ai nostri giovani che, così come lo studio, li aiuta a crescere sotto tutti i profili.
Noi sportivi abbiamo l’obbligo di denunciare queste ingiustizie, evidenziandole all’occhio dell’opinione pubblica e sperando che i nostri governanti facciano quello per cui sono pagati: garantire il rispetto dei nostri diritti.