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Caso Regeni. L’Italia pronta a nuove misure, l’Egitto ‘irritato’

Roma, 10 Apr 2016 – Ieri si è ulteriormente aggravata la crisi diplomatica tra Italia ed Egitto sul caso Regeni. Il richiamo dell'ambasciatore italiano al Cairo è stato solo il primo passo dopo il fallimento del vertice romano tra i magistrati e l'Italia, ha fatto sapere il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni, è pronta a prendere nuove misure nei prossimi giorni.     Da parte sua, dopo 24 ore di attesa, il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha espresso la propria "irritazione" in una telefonata con Gentiloni "per l'orientamento politico che l'Italia comincia a prendere nel trattare il dossier". Per Il Cairo, la decisione di convocare l'ambasciatore è in contrasto con la collaborazione auspicata nell'inchiesta sulla morte del giovane ricercatore.

A chiarire la linea di fermezza del governo italiano sul caso che sta incrinando i rapporti diplomatici tra Roma e Il Cairo era stato in mattinata proprio Gentiloni che, da Tokyo, aveva avvertito: "Ricordo sempre gli aggettivi che ho usato in Parlamento e cioè che adotteremo misure immediate e proporzionali. Questo ci siamo impegnati a fare e questo faremo". In particolare, aveva spiegato, sugli altri passi da compiere "lavoreremo nei prossimi giorni".     A breve è atteso il rientro in Italia per consultazioni di Maurizio Massari, l'ambasciatore in prima linea alla ricerca della verità sulla morte del giovane ricercatore italiano sin da quei maledetti giorni di gennaio. Con il diplomatico si valuteranno le misure più opportune per sbloccare una situazione che il governo, Renzi in primis, non vuole diventi un nuovo tormentone come quello dei marò.

Al di là comunque dei toni alti, le diplomazie sono al lavoro per cercare qualche forma di dialogo e - malgrado il braccio di ferro tra i magistrati sui tabulati telefonici chiesti dagli italiani e negati dagli egiziani ("è una questione di diritti umani", ha fatto scrivere il ministero degli Esteri del Cairo nel comunicato di stasera) - si sta cercando di evitare di bruciarsi tutti i ponti alle spalle. Tanto che, trapela da fonti di stampa egiziane, nonostante l'irritazione Il Cairo esclude per il momento di richiamare a sua volta l'ambasciatore a Roma, proprio per evitare pericolose escalation.

L'Italia ad ogni modo sta lavorando per coinvolgere sempre più anche l'Europa, per aumentare la pressione nei confronti del Cairo se le cose alla fine dovessero andare male. Non a caso domani Gentiloni incontrerà a Hiroshima, a margine del G7 dei ministri degli Esteri, l'Alto rappresentante per la politica estera europea Federica Mogherini. "Per parlare del modo migliore per sostenere gli sforzi dell'Italia nel caso Regeni", hanno fatto sapere fonti vicine alla responsabile Ue, ricordando come la Mogherini, benché la vicenda sia bilaterale, abbia già parlato personalmente due volte del dossier con il ministro Shoukry e come la questione venga sollevata ad ogni occasione nei rapporti con l'Egitto a livello di funzionari.

I "nuovi passi" di cui ha parlato oggi Gentiloni potrebbero tradursi in misure cautelative per gli italiani che viaggiano in Egitto, a cominciare da studenti e ricercatori come Giulio Regeni, e in uno stop degli scambi culturali. Già ad un livello successivo si posizionerebbe una sorta di 'sconsiglio' da parte della Farnesina ad andare in Egitto dichiarandolo Paese 'non sicuro', mossa che colpirebbe in maniera pesante il già disastrato business del turismo.

A livello politico il ventaglio delle possibilità prevede il raffreddamento delle relazioni, ovvero un 'downgrade' del livello dei contatti (missioni e consultazioni delegate a sottosegretari o funzionari, non più a ministri) e, ovviamente, il congelamento dei vertici intergovernativi annuali. Quello di quest'anno, che era in agenda pur senza una data, a meno di svolte clamorose non si terrà.

L' 'atomica' delle sanzioni economiche e il blocco di tutti gli accordi commerciali (si parla di 5 miliardi di investimenti, a partire dal maxi giacimento di gas di Zohr) viene, almeno per il momento, ritenuta l'ultimissima ratio, nel caso in cui la situazione dovesse irrimediabilmente precipitare. Ma sarebbe il proverbiale punto di non ritorno e comunque per un passaggio del genere sarebbe necessario un sostegno concreto dei partner europei, dal momento che misure unicamente bilaterali finirebbero per essere inefficaci e inutilmente autolesionistiche.