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Omicidio Yara Gambirasio: ergastolo per Bossetti

Bergamo (Lombardia), 2 Lug 2016 - È rimasto impassibile Massimo Bossetti alla lettura della sentenza che lo ha condannato all'ergastolo per l'omicidio della tredicenne Yara Gambirasio avvenuto il 26 novembre del 2010. I giudici hanno anche tolto la potestà genitoriale al muratore di Mapello, mentre non hanno accolto la richiesta del pubblico ministero, Letizia Ruggeri, che oltre all'ergastolo aveva chiesto anche l'isolamento. Per quanto riguarda, invece, l'accusa di calunnia per aver depistato le indagini spostando l'attenzione su un suo collega, Bossetti è stato assolto.

"Ora sappiamo chi è stato, anche se siamo consapevoli che Yara non ce la riporterà indietro nessuno". Lo ha detto ai suoi legali la madre di Yara, Maura, subito dopo la lettura della sentenza che ha condannato Massimo Bossetti all'ergastolo per l'omicidio della ragazza.

"Siamo arrivati a metà strada nel senso che questa è una sentenza di primo grado, è stata un'inchiesta difficile e la collega Ruggeri è stata fantastica". Lo ha detto il procuratore di Bergamo Massimo Meroni commentando la condanna all'ergastolo per Massimo Bossetti per l'omicidio di Yara Gambirasio.

Le tappe della vicenda - Un delitto crudele, un'inchiesta complessa senza eguali in Italia e nel mondo, un processo in cui la prova scientifica è stata protagonista assoluta. Dopo quasi quattro anni di indagine raccolte in 60 faldoni, un dibattimento lungo 45 udienze con decine di testimoni, per Massimo Bossetti, condannato all'ergastolo dalla Corte d'assise di Bergamo. Dal giorno della scomparsa della 13enne ginnasta alla decisione della corte d'Assise di Bergamo ecco le tappe della vicenda

Il 26 novembre 2010 alle ore 18.40 circa, Yara Gambirasio esce dalla palestra di Brembate di Sopra, piccolo comune in provincia di Bergamo, e di lei si perdono le tracce. La 13enne ginnasta va nel centro sportivo di via Locatelli per consegnare uno stereo, poi il buio la inghiotte lungo quei 700 metri che la separano da casa. Alle 18.49 il suo cellulare Lg nero viene spento per sempre. Le ricerche non trascurano nessuna pista: dall'allontanamento volontario al rapimento.

Il 5 dicembre 2010, Mohamed Fikri, operaio di un cantiere edile di Mapello dove conducono i cani molecolari usati per le ricerche, viene fermato su una nave diretta in Marocco perché sospettato del sequestro e dell'omicidio. Pochi giorni dopo le accuse vacillano: alcune parole in arabo mal tradotte e un biglietto per Tangeri già in tasca da tempo fanno cadere l'ipotesi di una fuga. Il 7 dicembre il giovane esce dal carcere; non è lui l'assassino di Yara.

Il 26 febbraio 2011 la mamma di Yara, Maura e papà Fulvio, devono smettere di sperare: il corpo della loro bambina viene trovato da un appassionato di aeromodellismo in un campo abbandonato a Chignolo d'Isola, a pochi chilometri da casa. L'autopsia svela le ferite alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: Yara era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l'ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso, lungo una lunga agonia, avviene quando alle ferite si aggiunge il freddo.

Il 9 maggio 2011 viene isolata sugli slip e i leggings della vittima una traccia biologica da cui è stato possibile risalire al Dna di 'Ignoto 1'. È una traccia trovata vicino a uno dei tagli messi a segno dall'aggressore. Ci vorranno diversi mesi e il confronto con centinaia di Dna per arrivare a dire con certezza che il sospettato è il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999.

Il 7 marzo 2013 era stata riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, l'autista di Gorno, la probabilità che siano padre e figlio è del 99,99999987%, ma questo non basta per dare un nome a 'Ignoto 1'. Si riparte dal Dna mitocondriale (che indica la linea materna) di 'Ignoto 1' per dare un nome alla madre. La comparazione tra 'Ignoto 1' e il Dna di Ester Arzuffi (già in possesso degli investigatori dal 27 luglio 2012) porta al match: la probabilità che siano madre e figlio è del 99,999%.

Il 16 giugno 2014, il presunto assassino di Yara ha un nome: è Massimo Bossetti, 44 anni originario di Clusone ma residente a Mapello. Sarà il ministro dell'Interno Angelino Alfano ad annunciare via Twitter le manette. Spostato, padre di un bambino e due bimbe, il suo Dna (acquisito con un alcoltest) combacia con 'Ignoto 1'. Per lui l'accusa è di omicidio con l'aggravante di aver adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà. Un delitto aggravato anche dall'aver approfittato della minor difesa, data l'età della vittima. Il 27 aprile 2015 il gup di Bergamo, Ciro Iacomino, lo rinvia a processo.

Il 3 luglio 2015 è cominciato il processo contro Massimo Bossetti. A giudicare l'imputato, che rischia l'ergastolo, sarò la Corte d'assise di Bergamo composta dal presidente Antonella Bertoja, dal giudice a latere Ilaria Sanesi e da sei togati popolari. In aula non sono ammesse telecamere, né cellulari o altri strumenti che permettano di riprendere imputato o testimoni. Ai giornalisti non resta che carta e penna per seguire il processo.

L’11 marzo 2016 il presunto colpevole, Bossetti, prende per la prima volta la parola in aula. "Quel Dna non mi appartiene: è un Dna strampalato, che per metà non corrisponde. È dal giorno del mio arresto che mi chiedo come sono finito in questa vicenda visto che non ho fatto niente e voi lo sapete", dice ribadendo la sua innocenza 18 maggio 2016. Massimo Bossetti ha ucciso Yara con crudeltà ed efferatezza. L'imputato "ha voluto arrecare particolare dolore e ci è riuscito con un'agonia particolarmente lunga" contro la vittima cagionandole "sofferenze eccessive". È quanto sostiene nella sua requisitoria il pubblico ministero Letizia Ruggeri. Condanna all'ergastolo con isolamento diurno per sei mesi la richiesta per l'uomo accusato dell'omicidio e di calunnia nei confronti di un suo ex collega, su cui ha puntato il dito.

Il 10 giugno 2016 la difesa chiede l'assoluzione per l'imputato del processo "più indiziario del mondo, dove nessun indizio è preciso neanche il Dna". La custodia e la conservazione della traccia biologica "sono il tallone d'Achille" di un'indagine "con troppe anomalie" dove "più che l'accusa ho visto la difesa delle indagini. Qui interessa il risultato, che finalmente ci sia il colpevole". I difensori, gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, chiedono un atto di "coraggio alla giuria: assolve Bossetti. Sia fatta giustizia, non sia condannato un innocente".

Primo luglio 2016 è stato il giorno della sentenza per l'unico imputato accusato del delitto: ergastolo. In aula, ancora una volta, non sono stati ammessi telecamere o fotografi a causa del "clima avvelenato" creatosi intorno al processo.