Roma, 30 Ago 2016 - Un anno e tre mesi di reclusione per minaccia e violenza sessuale. Questa la pena inflitta dalla Cassazione ad un commerciante di Pescara che ha commesso una "singolare" aggressione nei confronti di una concorrente in affari.
L'imputato e la vittima, una donna romena, sono titolari a Pescara di due copisterie per supporti informatici. Era il gennaio del 2009 quando, al culmine dell'ennesima lite avvenuta in pieno giorno su un marciapiede, davanti a più testimoni, l'uomo oltre a minacciare la donna di ammazzarla e di farle chiudere l'attività, le aveva palpato i seni e le aveva dato una "leccata repentina" - così è scritto negli atti giudiziari - nella zona che va dal mento al naso.
Ad avviso della Suprema Corte, è da punire anche l'uso di "una qualsiasi energia, anche di ridottissime proporzioni, prodotta dal movimento corporeo che attinge una persona senza consenso o a sua insaputa per impedirne il dissenso", come nel caso della leccata "fraudolenta".
Senza successo, l'imputato ha sostenuto di non voler soddisfare i suoi impulsi sessuali, essendosi tra l'altro il fatto svoltosi davanti ai rispettivi partner, ma di voler mortificare la concorrente. Ma per i supremi giudici, a far scattare la condanna è sufficiente che ci sia "coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente, sicché non è necessario che tale atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri" di chi lo compie. La libertà sessuale, sottolinea la Cassazione, rientra nella libertà personale comprendente "anche e soprattutto il diritto della libera autodeterminazione sessuale, come potere di disporre della propria persona e del proprio corpo, senza che siano ammesse intrusioni non consentite, una specie di 'noli me tangere', ossia un divieto assoluto di intromissione nella sfera intima, sessuale, della persona, che si traduce nella proibizione di qualsiasi intrusione corporale senza consenso".
In primo grado Benito F. (42 anni) era stato condannato nel dicembre 2011 dal Tribunale di Pescara ad una pena maggiore di cui non è nota l'entità, ma poi la Corte di Appello de L'Aquila nel 2013 gli aveva concesso le attenuanti generiche. Sebbene la violenza sessuale commessa in questa vicenda rientri nei casi meno gravi, la Cassazione - sentenza 35591 depositata oggi dalla Terza sezione penale - ha escluso che agli abusi meno violenti e invasivi possa essere concessa l'applicazione della 'depenalizzazione' introdotta dalla legge sulla particolare tenuità del fatto