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Trump presidente ma gli americani non lo accettano: decine di migliaia di persone in piazza contro Donald: “Non è il mio Presidente”

New York, 10 Nov 2016 - Dopo lo shock la reazione. Migliaia di persone sono scese in piazza in tutti gli Stati Uniti per protestare contro l'elezione di Donald Trump. "Non è il mio presidente", si legge sui cartelli dei manifestanti. Le manifestazioni più imponenti a New York e Chicago.

Almeno 30 persone sono state arrestate a Manhattan. In migliaia, nonostante la pioggia, si sono radunati a Union Square e hanno poi sfilato verso midtown fino alla blindatissima Trump Tower sulla Fifth Avenue, dove si trova l'abitazione del nuovo presidente americano. Paralizzato per ore il traffico nella zona.

Intanto iniziano i 2 mesi di transizione, verso il passaggio di consegne che avverrà il prossimo 20 gennaio a Washingon. Il presidente Barack Obama ha rilasciato una dichiarazione sulle elezioni dopo il discorso di Hillary Clinton con cui ha auspicato dialogo ed una transizione di successo, normale e pacifica. "Incontrerò il presidente in pectore Trump. Dimostreremo a tutto il mondo che questo avverrà, così come avvenne otto anni fa tra l'allora presidente Bush e me. Farò ciò che posso per il nuovo presidente, siamo tutti nella stessa squadra: non siamo democratici, o repubblicani, siamo Americani".

Su Hillary Clinton, Barack Obama, ha detto che è certo che insieme al marito Bill riuscirà a fare altre cose che avranno successo. "È stata una campagna elettorale dura e combattuta: è difficile adesso per i sostenitori del partito democratico, potrebbero essere delusi, specie i più giovani, ma - ha detto Obama - occorre continuare a lottare per quello in cui si crede. Serve capire i propri errori ed imparare non scoraggiandosi".

Il presidente Obama ha infine avuto parole di ringraziamento per il proprio team che lo ha assistito nei due mandati che si chiudono.

Hillary Clinton, la candidata del partito democratico sconfitta nella corsa alle presidenziali Usa 2016, ha rivolto ai suoi sostenitori un discorso nel giorno più triste per lei. La candidata sconfitta inizia offrendo la propria collaborazione al vincitore Donald Trump. "Mi dispiace non aver vinto, ma sono orgogliosa e grata per la campagna energica e piena di valori costruita insieme a voi".

Si è detta delusa, Hillary Clinton, come decine di milioni di americani; ma ha tenuto il punto sulle proprie convinzioni: "Il Paese che amiamo deve essere speranzoso e inclusivo. Abbiamo visto che la nostra nazione è divisa più profondamente di quanto pensassimo. Ma io continuo a credere nell'America e l'amerò sempre".

Rispettiamo i nostri valori e difendiamoli. La democrazia richiede la nostra partecipazione. Facciamo avanzare i nostri valori, l’economia, il pianeta, abbattiamo le barriere per gli americani: il sogno americano è per tutti: donne, comunità Lgbt, migranti, cittadini di religioni diverse; per chiunque."

"Come cittadini il nostro compito è quello di costruire un'America più equa. Ringrazio i compagni di viaggio: sono stati una gioia, una speranza ed un aiuto. Agli Obama dico: 'Il nostro Paese vi è enormemente grato'".

Un 'premio di consolazione' Hillary Rodham Clinton se lo è assicurato: sebbene di poco, nelle presidenziali Usa alla fine ha infatti superato l'avversario nel computo totale del voto popolare, vale a dire per numero di preferenze personali, dove inizialmente era ugualmente in svantaggio. A spoglio delle schede non ancora completato in Alaska, la candidata democratica ne aveva infatti ottenute oltre 59,18 milioni contro i 59,04 di Trump. Una differenza a ben vedere minima, appena 176.000 voti: cifra ben diversa rispetto al mezzo milione di scarto che nel 2000 non impedì a George W. Bush di superare Al Gore, pur privilegiato dai singoli elettori.

Quanto ai concorrenti di rincalzo, Gary Johnson del Partito Libertario ha totalizzato circa 4 milioni di preferenze, la verde Jill Stein poco più di 1,1 milioni.

Gli osservatori e gli analisti iniziano a formare l'organigramma che dovrebbe governare gli Stati Uniti per i prossimi 4 anni. Queste le prime indiscrezioni sui nomi più gettonati dalla stampa americana in queste ore nei ruoli chiave della futura amministrazione.

Segretario di Stato Newt Gingrich, ex speaker della Camera, 73 anni, uomo influente nei circoli repubblicani di Washington, viene dato come probabile segretario di Stato. Gringrich è un 'trumpiano' della prima ora, uno dei pochi che non ha mai vacillato nel suo appoggio incondizionato al neo presidente Usa, nemmeno nei momenti in cui gran parte della elite repubblicana gli ha voltato le spalle. Ha anche corso per le primarie repubblicane nel 2011, senza ottenere la nomination. Per il ruolo di segretario di Stato sulla stampa Usa circolano anche i nomi di Robert 'Bob' Corker, senatore del Tennessee e attuale presidente della Commissione Esteri del Senato e di John Bolton, il 'neocon' già ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite nell'era Bush e ancora oggi ascoltato esponente di molti think thank conservatori.

Segretario al Tesoro Steven Mnuchin. Secondo indiscrezioni pubblicate alcuni giorni fa da diversi quotidiani Usa, Trump avrebbe già individuato il suo uomo alla guida dell'Economia. Si tratta di Steven Mnuchin, laureato a Yale, già banchiere di Goldman Sachs, oggi numero uno della finanziaria Dune Capital e presidente finanziario della campagna elettorale del neo presidente. Mnuchin dopo aver accumulato milioni di dollari con Goldman Sachs si è dato alla produzione di film e ha fondato una società che ha finanziato la produzione di successi del botteghino come 'Avatar' e 'American Sniper'.

Ministro della Giustizia - Il nome più scontato al momento sembra quello dell'ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani. A pochi minuti dalla vittoria, lo stesso Trump ha tributato al sindaco della 'tolleranza zero' un ringraziamento esplicito per non aver mai mollato durante la campagna elettorale. Da procuratore del distretto Sud di New York City, prima di diventare sindaco, Rudi Giuliani ha indagato sui principali casi di mafia e sulla corruzione a Wall street. Al secondo posto del 'toto governo' c'è Chris Christie, governatore del New Jersey, 54 anni, che è stato indicato anche come possibile segretario al Commercio. Christie sconta però lo scandalo che ha investito alcuni dei suoi collaboratori sugli appalti per i lavori di uno dei più importanti ponti che collega il New Jersey a New York. Durante le primarie, l'appoggio di Christie fu determinate per il sorpasso di Trump al suo concorrente Marco Rubio.

Segretario alla Difesa Stephen Adley, ex consigliere per la National Security e l'ex senatore Jim Talent sono i due nomi circolati per la poltrona di ministro della Difesa. Secondo altre fonti citate dai giornali Usa, il papabile più accreditato sarebbe Jeff Sessions, consigliere di Trump durante la campagna elettorale. Sessions, senatore dell'Alabama, 69 anni, fa parte dell'ala conservatrice del partito (sua la proposta di bandire gli omosessuali dall'esercito) ed è decisamente interventista in politica estera (appoggiò con fervore l'invasione Usa dell'Iraq nel 2003).

Capo dello Staff Reince Preibus, 44 anni, è il favorito per ricoprire uno dei ruoli più delicati dell'amministrazione, quello di capo dello staff della Casa Bianca. Priebus è presidente del comitato nazionale dei Repubblicani, ruolo che favorisce il legame tra lo stato maggiore del partito e il nuovo presidente, soprattutto dopo la conquista del Congresso. Priebus è considerato molto vicino a allo speaker della Camera, Paul Ryan.

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